La leggenda e la storia

Breve premessa

Braul

Del braul, demoniaca e spaventosa creatura delle tenebre, se n’era perduta completamente la memoria storica, anche se ancora oggi qua e là tra i boschi della Carnia, misteriose esalazioni di zolfo ne testimoniano la presenza. La sua riscoperta, avvenuta ad opera del gruppo, risale al 1992 ed è un merito del quale andiamo fieri.

Bràul ha così simbolicamente assunto per noi, il significato di recupero, valorizzazione e riproposta della cultura e della musica popolare friulana, che è quanto viene trasposto in campo artistico rivestendo di nuove forme e di nuovi contenuti il patrimonio musicale regionale, evidenziando quegli aspetti di tradizione che ne costituiscono la specificità e l'originalità, senza tante concessioni alle mode etniche passeggere.

Il modo con il quale il materiale sonoro viene arrangiato, il linguaggio musicale adoperato, sono l'espressione della personalità di ogni musicista e in ultima analisi, caratterizzano lo stile del gruppo.

Una cultura in grado di rinnovarsi al suo interno e di riproporsi non rischierà mai di inaridirsi o, peggio, di estinguersi.

Il nome

La presenza del personaggio che ne porta il nome, è stato accertato recentemente dagli storici, risale alla comparsa e al successivo insediamento tra le montagne della Carnia, dei Gallo Carni, uno dei rami della grande famiglia dei Celti, la cui tribù — Karn — diede anche il nome all'intera regione montana, oltre che alla Carinzia in Austria e alla Carniola in Slovenia.

Della presenza celtica in Friuli — toponimi, alcuni vocaboli, tombe e il carattere fiero delle popolazioni montane a parte — ai nostri giorni non rimane più molto; il successivo dominio romano, durato per più di 400 anni, eresse un muro che cancellò per sempre tutto quel che esisteva in precedenza da quanto sarebbe venuto da lì in poi.

La leggenda

Si narra che i bràuji, leggendaria stirpe di diavoli della montagna, fossero i remoti custodi di un misterioso pentolone pieno di monete d'oro, sepolto tra i ruderi dell'antico castello dei Conti di Luvìnt in Carnia. Ne rimasero in possesso fino a quando il Predi (prete) Frezzo assieme ad alcuni uomini molto coraggiosi, non decise di togliere per sempre dalle sgrinfie dei dèmoni, il tesoro maledetto contenuto nel pentolone interrato. Salì nottetempo nel luogo indicato, aiutandosi recitando scongiuri, formule e preghiere, tracciando nel contempo un cerchio magico, e ponendo tre grossi ceri accesi a forma di triangolo. Infine, dopo aver scavato senza sosta, riuscii nel suo poco ecclesiastico intento, scatenando l'inefficace furia dei dèmoni, resi inermi da quei riti portentosi. Da quella notte, del pentolone e del suo contenuto non si ebbe mai più alcuna notizia; i bràuji si ritirarono per sempre nella oscurità dei boschi. Solo di tanto in tanto danno ancora un qualche segno di sé, attraverso un improvviso sentore di odore di zolfo nell'aria, prova lampante della presenza di dèmoni. Sarà forse un caso ma quest'ultimi episodi non sono una leggenda…

La storia e i luoghi

Uscendo a nord dall'antico abitato di Salârs, si giunge al Plan de Voscjanàzies attraverso la vecchia strada detta Clàupa dal crèt (sentiero lastricato di pietra — friul: Clàp = sasso, pietra — tutt'ora ben visibile e praticabile), dove verso il XIV° sec. sorgeva il castello dei Conti di Luvìnt (una delle torri di guardia, presumibilmente di epoca romana o altomedioevale, che mettevano in comunicazione visiva le valli della Carnia). È altamente probabile che da questa strada passarono, quasi otto secoli fa (1351-1353) i cavalieri mandati dal Patriarca di Aquileja Nicolò di Lussemburgo per distruggere anche questo castello come tutti quelli della Carnia, volendo vendicare la morte del suo predecessore Bertrand de Saint Geniès, il “Beato Bertrando” assassinato sulla piana di San Giorgio della Richinvelda (PN) da una cospirazione di nobili friulani; tutt'oggi sulla piana esiste la chiesetta dove il Beato Bertrando spirò. Tra questi nobili vi era anche Ermanno di Carnia, o “da Luìncis”, uno dei pochi esponenti carnici di quella nobiltà feudale che qui non mise mai radici. Poche decine di metri più in là si può vedere la "busa dai bêz" (buca dei soldi) dove i Conti di Luvìnt avrebbero nascosto i loro tesori, sepolti in un pentolone, prima di scappare sapendo dell'arrivo dei cavalieri del Patriarcato intenzionati a ucciderli e a bruciare il castello. Qualcuno ai nostri giorni volle provare a verificare la veridicità di questa storia, che gli anziani del luogo raccontavano durante le notti davanti al focolare. Salì fino alla busa dai bètz con un metaldetector e, con enorme sorpresa, interrate dentro alla buca rinvenne diverse monete antichissime. E anche questa non è una leggenda.

Di tutte queste notizie, alcune delle quali riportate anche negli scritti ottocenteschi dell'Abate Prè Leonardo Morassi di Salârs, dobbiamo un ringraziamento infinito alla Pro Loco di Salârs, in particolare alla persona di Stefano Plazzotta, che attraverso un progetto di recupero e valorizzazione dei luoghi storici della tradizione orale locale, ha reso possibile che quest'antico passato non andasse perduto per sempre.

Citazioni

Nel corso di approfondite ricerche si sono trovate varie citazioni, risalenti alla prima metà del Settecento. Sono divinazioni e presagi legati al tempo atmosferico.

Marte a Giove sestilàt
mostre plòis frecuentàdis,
con di plùi di un vint sfacàt
a fa il bràul su li crosàdis

Vadi al bràul pùr che modàce

Il Predi Frezzo al vignì una not cum omps di curazo a sconzurà i brauji, ju tuchuji, ju demonis,cai stevo a possess.

Ma la chialderìa ai giavàr dopo dispossessat lu bràul.

…neris como lu chialin de fumario, cullas giambos e ju peis di vacchio, culla codo di madrac, culla bochia di lof, cui cuars di cerff, cu 'na gran forchia ta man, culla michia tal altra man par schiarià lu canon, in fin pai voi, pas vorelas, pal nas, pa boccio ai schizzava lu fouc das fonderai dall'infierr.

(…neri come la fuliggine del camino, con le gambe ed i piedi di vacca, con la coda di serpente, con la bocca di lupo, con le corna di cervo, con una gran forca in mano, con la miccia nell'altra mano per scaricare il cannone, perfino dagli occhi, dalle orecchie, dal naso e dalla bocca schizzava il fuoco delle profondità dell'inferno.)