Anzoleta Da Le Rive

Da Barlums – Canti d’inchiostro, 2024

“Io mi maritai di 17 anni in circa. Mio padre haveva nome Pellegrino Valbescia da Cenneda e mia madre si chiamava Betta de Serafin della terra di Pordenon (…) Mio marito si chiamava Jacomo del Gniutto da Pordenone ed era detto Jacomo delle Rive perché habitava in quelle rive dove habito io adesso (al “cason fuora della porta dei Mulini”). Mio marito era pescatore e sono vissuta con esso lui 32 anni in circa (…), morì 23 o 24 anni fa, mi restorno molti debiti e tre figli piccoli (…)”.

“Io nel corso di mia vita per vivere ho fatto ogn’arte; ho filato la lana a molinello, ho fatto le reti per altri e per casa, tessuti panni di lana, fatti bozzolai per vendere; ho governato gl’ammalati in casa d’altri per mercede e anco, in casa mia, i poveri per l’amor di Dio qualche volta (…)”.

 “Ho governate le donne di parto e i suoi putti. Quando avevano male pigliavo l’herba della scrofola che nasse vicino all’acque, la pestavo, ne cavavo il sugo e con un poco di latte della madre istessa glie lo facevo bere”. So far passare il cattivo tempo con l’erba di San Giovanni e l’ulivo benedetto, assieme a le preghiere.


Il 4 gennaio del 1651 nel carcere di Udine, in attesa di processo, moriva Angioletta Valbescia, popolana di Pordenone lì rinchiusa assieme alla figlia con l’accusa di stregoneria per aver curato alcuni concittadini con l’uso di erbe, menzionando nel contempo il nome di Dio assieme a formule scaramantiche.

Un comportamento per nulla tollerato dalla Chiesa e dalla cultura ufficiale dell’epoca. Una donna ai margini della società del tempo, vista con sospetto in quanto donna, possibile causa di eventuali mali che avessero dovuto affliggere la comunità.

Al contrario, Angioletta donò se stessa e tutta la sua conoscenza e il suo amore alla cura degli altri, mettendo a disposizione di tutti i suoi saperi ancestrali per il bene comune.

Ispirato dal libro di Ornella Lazzaro “Le amare erbe”.

Anzoleta Da Le Rive
Anzoleta Da Le Rive (Friulano)

Anzoleta sotto al noce
alza gli occhi alla luna,
dalle rive del Naoncello
reverenza le vuol far.

Danza in tondo attorno al noce
per tre volte lo deve far:
Forse antico incantamento?
Quale intento va a portar?

“Non so di malìe,
sortilegi o striaments,
ma ho fama d’esser stria,
calunniata dalla zent.
Son vedova e vecchia
e mi danno per mangiar,
faccio i curamenti
anche a quei che mi han già segnà.”

Anzoleta sulle rive
le “erbe magiche” va a cercar,
prima del levar del sole
coglie l’erba di San Zuan.

Cura i mali ai sofferenti,
mischia formule col Signor,
ma la Chiesa non indulge:
il processo le va a far.

“Oh Giudice Padre, cosa devo confessar?
È stà per ignoranza se talvolta ho peccà.
Ho dà sempre conforto
ai più miseri di me:
crudel sarà il castigo
se in preson mi manderà.”

Anzoleta non si arrende,
quel che dice è verità:
che le leggi de la Glesia
lei le ha sempre rispettà.

Ma un tremendo male al ventre
le ha vegnù dentro in preson,
e nel tempo de una notte
l’ ha portada a l’altro mond.

“Sol Dominedio à scoltà i me lament,
ma ‘l male più grande
me l’ha fatto la mia zent;
morir tra i tormenti
come un can abandonà,
no son mai stada stria:
sol ‘na povera femena.”

“Giorno quarto di gennaio,
Milleseicentocinquantun:
dentro al carcere di Udin
ha cambià la vita in morte
Anzoleta Valbescia.”

Angioletta Dalle Rive (Italiano)

Angioletta sotto al noce
alza gli occhi alla luna,
dalle rive del Noncello
le vuole rendere omaggio.

Danza in tondo attorno al noce
per tre volte lo deve fare:
Forse un’antico incantesimo?
Quale proposito porta con sé?

“Non so di magie, sortilegi o stregonerie,
ma ho fama di essere una fattucchiera diffamata dalla gente.
Sono vedova e vecchia e mi affanno per mangiare,
offro le mie cure anche a quelli che mi hanno già additata.”

Angioletta sulle rive
va a cercare le “erbe magiche”
prima del levar del sole
raccoglie l’erba di San Giovanni*.

Cura i mali ai sofferenti,
mescola riti con il Signore,
ma la Chiesa non indulge:
a processo la condanna.

“Oh Giudice Padre, cosa devo confessare?
Se ogni tanto ho peccato è stato per ignoranza.
Ho sempre dato conforto ai più sfortunati di me:
il castigo sarà crudele, se mi manderete in prigione.”

Angioletta non si arrende,
quel che dice è la verità:
le leggi della Chiesa
lei le ha sempre rispettate.

Ma un terribile dolore al ventre
le è venuto dentro al cacere,
e nel tempo di una notte
l’ha mandata all’altro mondo.

“Solo il Padreterno ha ascoltato i miei lamenti,
ma il male più grande me l’ha fatto la mia gente;
morire tra i tormenti come un cane abbandonato,
non sono mai stata una strega: solo un’umile donna.”

“Giorno quarto di gennaio,
Milleseicentocinquantun:
dentro al carcere di Udine
ha cambià la vita in morte
Angioletta Valbescia.”

* iperico

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